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Libri per chi vuole scrivere bene

libri per chi vuole scrivere bene

Leggo molto e rileggo anche. Mi piace tornare tra le pagine di quei libri che non mi stancano mai e che fanno parte della mia cassetta degli attrezzi per scrivere bene. Libri che sono fonte di ispirazione, da leggere e rileggere altre mille volte. Attenzione però, questa non è una classifica. È solo una piccola, anzi minuscola, selezione di libri fondamentali per chi vuole lavorare con le parole e raggiungere obiettivi concreti. O almeno provarci. Aggiungerò sicuramente altri titoli prossimamente. Ora partiamo però.

Potere alle parole, Vera Gheno

Ebbene sì, le parole hanno un potere. Un grande potere. E Vera Gheno lo spiega, con la sua impeccabile chiarezza, in un libro imperdibile, Potere alle parole. Vera ci ricorda che siamo tutti parte attiva in questa società della comunicazione, e siamo tutti chiamati a usare bene la lingua e mantenerla viva e vegeta. La capacità linguistica è come un muscolo e va allenata con costanza. È altrettanto importante abolire i tanti falsi miti che ci fanno credere che il dialetto sia la peste bubbonica, i neologismi un becchino pronto a seppellire la nostra lingua, i forestierismi la vergogna delle vergogne.

Porsi la domanda sul perché si parla e si comunica, porta con sé alcune risposte illuminanti. Si parla per definire sé stessi, per descrivere il mondo e comunicare con gli altri. Per farlo occorre la lingua, che è un codice condiviso dalla comunità e che funziona grazie a un insieme di convenzioni e regole.  Aderire alla norma linguistica serve per capirsi. Alla base della comunicazione c’è la lingua, che è fatta dai suoi parlanti e non dagli accademici.

Per questo motivo ci sono parole che, se usate da tante persone per un lungo periodo, diventano la norma ed entrano nel vocabolario.  La lingua e le sue regole sono in costante evoluzione, per poter stare al passo coi tempi e assecondare i bisogni dei parlanti.

L’errore nella comunicazione va evitato, per evitare brutte figure, e perché distrae dal contenuto della comunicazione stessa. L’autrice fa l’esempio dell’alitosi. Se il nostro interlocutore ha un alito pesante, può anche dirci che siamo i migliori sulla faccia della terra, sta di fatto che noi vorremo solo tapparci il naso o scappare. Vera Gheno però non vede di buon occhio, e nemmeno io, i grammarnazi, ossia quegli spocchiosi che san tutto loro, che non perdonano il minimo errore e lo fanno ergendosi a imperatori del verbo, gettando sterco sui poveri malcapitati.

Vera ci guida tra esempi pratici di parole e fatti su cui si dibatte spesso, quali il piuttosto che, qual è con apostrofo o meno, a me mi, gli inglesismi, i giovani etichettati come attentatori della lingua italiana. A proposito di lingua italiana, Vera ne ripercorre la storia, dalle prime forme di comunicazione verbale e scritta, ai dialetti, al neostandard della tv, fino ad arrivare alla lingua della strada, che parliamo e scriviamo nel quotidiano, social network compresi.

Sapere usare bene la lingua italiana, in ogni contesto, evitando errori, è una forma di rispetto verso il lettore, spiega Vera Gheno. Per questo è preferibile mantenere una perenne “tensione linguisitca” anche quando scriviamo un messaggio su Whatsapp.

Gli unici responsabili della nostra lingua siamo noi, che abbiamo il dovere e il potere di scegliere di rispettare la norma linguisitca e tenere viva la lingua italiana, anche adattandola ai tempi moderni e ai bisogni attuali. Solo così una lingua si salva dall’estinzione. Ognuno di noi deve imparare a usarla al meglio delle proprie capacità e competenze, senza snobbare nessuno, senza vestire i panni del superbo possessore della conoscenza assoluta.

Volendola dire come il filosofo Paul Grice, che Vera Gheno cita, le massime conversazionali per una comunicazione sincera ed efficace sono: quantità, qualità, relazione e modo.  Dire meno è più utile che dire troppo ed essere sinceri paga sempre, così come l’essere pertinenti e non uscire dal seminato del discorso. Infine essere chiari e farsi capire, dando importanza all’interlocutore. E ricordiamoci che qualora non si avesse niente da dire, è meglio tacere.

Il mestiere di scrivere, Luisa Carrada

Il sottotitolo non potrebbe essere più chiaro di così: le parole al lavoro, tra carta e web. Luisa Carrada è una veterana della scrittura professionale, per me una voce familiare. Non esagero se dico rassicurante. Più che un manuale, Il mestiere di scrivere è un racconto sulla scrittura professionale contemporanea, in Italia e nel mondo. Il libro è di qualche anno fa, ma è ancora attuale.

All’interno troviamo suggerimenti e consigli pratici di cui fare tesoro. Mi piace molto la positività con cui Luisa affronta l’argomento scrittura. Il suo entusiasmo stimola ad approfondire e  migliorare  le proprie competenze. Luisa parte dal presupposto che il web ha cambiato le nostre abitudini di lettura e ricorda quanto è fondamentale l’aspetto visivo dei nostri testi. Senza dimenticare che scrivere testi brevi ma efficaci è una delle chiavi del successo di una buona comunicazione.

I blog hanno spazzato via i linguaggi istituzionali e i tecnicismi del marketing. Il distacco tra aziende e persone si è ridotto, annullato. Le persone parlano per le aziende, le aziende scrivono come le persone. E allora appendiamo al chiodo la scrittura accademica, ridondante, prolissa. Abbattiamo quel muro tra chi scrive e chi legge. Il racconto sincero dei nostri valori ci fa guadagnare la fiducia dei lettori. Se a questo affianchiamo l’ottimizzazione per i motori di ricerca e uno stile unico e personale, siamo sulla strada giusta per fare al meglio il nostro amato lavoro.

Lavoro, dunque scrivo! Luisa Carrada

Un altro contributo sempre di Luisa Carrada è Lavoro, dunque scrivo! Luisa Carrada approfondisce tutti gli aspetti classici contenuti nei manuali di scrittura, dal lessico alla sintassi. Aggiunge i microcontenuti, le liste, i numeri, titoli e sottotitoli, testi alternativi, elementi più contemporanei, che dobbiamo gestire al meglio. E lo dobbiamo fare tutti, perché ognuno di noi, professionista, imprenditore, artigiano, ogni giorno scrive per presentare se stesso e le proprie attività.

La scrittura oggi è davvero di tutti. Non per tutti allo stesso livello qualitativo, questo è ovvio, non possiamo essere tutti premi Pulitzer. Il web però ha aperto le porte della scrittura a chi ha un lavoro o lo sta cercando. La scrittura ci accomuna, è uno strumento potente che dobbiamo maneggiare con cura e professionalità.

L’autrice invita a esercitarsi ogni giorno. Per questo Carrada suggerisce esercizi e consigli senza dimenticare il lato più divertente e creativo della scrittura. Scrivere è un mestiere sì, ma è anche un gioco appasionante. Per me irrinunciabile.

Testi che parlano, Valentina Falcinelli

Con la prefazione di Luisa Carrada, Testi che parlano è il primo libro, pubblicato in Italia, interamente dedicato al Tone of Voice. Per noi italiani, per favore, Tono di Voce. A scriverlo Valentina Falcinelli, fondatrice di Pennamontata. Valentina ci ricorda che prima di mettere le mani sulla tastiera e la penna sulla carta, dobbiamo porci la fatidica domanda: come voglio che i miei testi parlino ai lettori?

Sappiamo cosa dire ma anneghiamo nel mare del come. Le parole scritte parlano e devono rispettare e rispecchiare la nostra personalità e i nostri valori. Solo così beneficiamo dalla nostra unicità. I clienti non comprano solo prodotti e servizi, vogliono i nostri valori. Il marketing tradizionale ha lasciato il posto, negli ormai lontani anni Novanta, al marketing esperienziale. Ricordiamocelo.

Capire chi siamo e come vogliamo comunicare serve a definire la nostra brand identity. Grazie al tono di voce ci distinguiamo e usciamo dall’anonimato. In poche parole, le persone si ricordano di noi. L’autrice spiega, con esempi pratici, come scegliere il proprio tono di voce. Testi che parlano è un manuale d’uso per professionisti che vogliono scrivere bene e raggiungere gli obiettivi stabiliti. Per me è un testo sacro, fisso sulla scrivania.

Fare blogging, Riccardo Esposito

Esiste un metodo per scrivere contenuti vincenti? Domanda da un milione di euro. Nel suo libro Fare blogging, Riccardo Esposito fornisce una serie di indicazioni e consigli utili per seguire un metodo di lavoro che fa la differenza. Del resto il suo blog My Social Web per me è un porto sicuro. Una lettura insostituibile.

La prima parte di Fare blogging è dedicata al macro-tema dell’organizzazione. Per fare blogging come si deve, bisogna avere un piano editoriale e stabilire gli obiettivi a lungo e breve termine. Definire il target a cui ci rivolgiamo con i nostri contenuti e creare le nostre reader personas. Dobbiamo identificare il nostro tono di voce e pianificare un calendario per la pubblicazione. Riccardo dà anche una serie di suggerimenti relativi alle fonti da tenere sempre ben presenti per la stesura dei nostri contenuti per il blog.

La seconda parte del libro scende nello specifico, elencando i diversi tipi di post, dai tutorial ai casi studio. Come si inizia un articolo? Come si scrive il titolo? Come si migliora la leggibilità dei contenuti? Come si fidelizza un lettore? Riccardo Esposito risponde ad ogni quesito.

 

E voi, quali libri per scrivere bene avete letto e perché no, riletto? Scrivetemi un commento, non andatevene senza dire la vostra. Sarebbe un vero peccato.

 

 

 

 

 

 

Il potere delle parole: la lingua italiana è viva e si evolve

Il potere delle parole: la lingua italiana è viva e si evolve

Le parole hanno un potere. Direi anzi un superpotere, che regola le relazioni umane e definisce l’individuo. Vera Gheno è una sociolinguista, esperta di comunicazione digitale, docente all’Università di Firenze, collaboratrice di lungo corso con l’Accademia della Crusca. Vera è la voce che emerge in mezzo al coro, quella che si riconosce anche senza avere un orecchio esperto. Da leggere assolutamente il suo libro “Potere alle parole”, un viaggio nella società della comunicazione e nella storia della lingua italiana che, ci tranquillizza l’autrice, è viva e gode di buona salute.

E se è viva, lo dobbiamo ai suoi parlanti, nessuno escluso. Perché la lingua non è una questione riservata agli accademici. Chiariamo il concetto. Ognuno di noi ha il suo ruolo nella salvaguardia e nell’evoluzione della lingua italiana. La capacità linguistica è come un muscolo e va allenata. La lingua, con i suoi codici e convenzioni, va presa per mano e alimentata, sempre, rispettandola ma adattandola ai tempi e ai bisogni attuali.

Padroneggiare gli strumenti linguistici ci consente di scegliere le parole giuste in ogni situazione. La vera libertà di una persona, dice Gheno, passa dalla conquista delle parole. Più le padroneggiamo, più la nostra partecipazione alla società della comunicazione sarà completa e soddisfacente.

Citazione dal libro Potere alle parole di Vera Gheno: la libertà di una persona passa dalla conquista delle parle.

 

Vi siete mai chiesti perché parliamo? Gheno spiega che il linguaggio ha basi biologiche e i nostri antenati hanno sviluppato un codice per trasmettere le informazioni. La lingua serve per definire sé stessi, descrivere il mondo, comunicare con gli altri. Se vi chiedono che cos’è una lingua, potete rispondere che è un codice condiviso da una comunità di parlanti che dà origine a testi, sia scritti sia parlati.

Dentro di noi abbiamo una parte innata del linguaggio. Gli stimoli esterni e la convivenza fanno il resto. Noi italiani siamo fortunati perché nasciamo e cresciamo con la predisposizione al bilinguismo, grazie ai dialetti. Nell’epoca attuale, il cittadino italiano perfetto, fa notare Vera Gheno, dovrebbe puntare a essere almeno trilingue: padroneggiare l’italiano, conservare il proprio dialetto e conoscere una lingua straniera.

E allora, vi starete chiedendo, il linguista cosa fa? Il linguista studia la lingua, va oltre le nozioni imparate a scuola, approfondisce, cerca risposte, scrive le grammatiche e i dizionari. Sono molti i tipi di linguisti, dai grammatici, ai lessicografi, ai glottologi, filologi, psicolinguisti, sociolinguisti e così via. Quello che dobbiamo aver chiaro è che la lingua è fatta dai suoi parlanti, non dagli studiosi.

Tutte le parole che sono usate da un numero ampio di persone per un periodo lungo, possono diventare una norma linguistica. Tutti abbiamo bisogno di regole per imparare a usare la nostra lingua, senza però ignorare che ogni norma può essere modificata nel tempo.

La lingua evolve costantemente e non solo l’italiano. I linguisti sono i supervisori che osservano il cambiamento, l’eventuale errore che rompe la norma e valutano se è giusto accogliere quella mutazione o difendere la regola.

Molti credono che a dettare le regole linguistiche sia l’Accademia della Crusca. Sbagliato, perché il ruolo della Crusca è quello di osservare, studiare, registrare, consigliare senza mai imporre. Gli strumenti per acquisire la norma li impariamo a scuola, che è anche il luogo in cui acquisiamo la consapevolezza che gli errori di comunicazione ci fanno fare un pessima figura. Vera usa la metafora dell’alitosi. Pensate di avere davanti a voi un interlocutore che vi sta facendo i complimenti più belli e sinceri mai ricevuti, ma mentre li decanta dalla sua bocca escono ventate di fogna. L’alito brutale affossa il contenuto e voi vorreste solo sprofondare, innalzare un muro, fuggire a gambe levate.

Vera non è affatto a favore dei grammarnazi. E non lo sono nemmeno io. Nessuno ha diritto di versare sterco su chi, per motivi diversi, non ha il controllo perfetto della lingua italiana. La rigidità non è adatta alla norma linguistica, né ai linguisti, né dovrebbe turbare la vita degli intellettualoni. Che poi spesso i grammarnazi sono quelli che ne sanno quanto un fagiolo e il loro unico talento è bastonare e umiliare gli altri.

grammarnazi vestito da soldato ma bannato perché nessuno può umiliare chi non conosce bene la lingua

 

Vera Gheno nel libro spiega, con dovizia di particolari, alcune delle discussioni linguistiche relative ad esempio al piuttosto che, a me mi, gli accenti acuti, gli anglismi, i neologismi.  Bisogna trovare un equilibrio tra norma e uso della lingua, ricordandosi che non esistono parole brutte, ma parole codificate dalla comunità dei parlanti. Ognuno di noi è la causa dei cambiamenti linguisitici, che sono normali e tengono in vita una lingua. E sta a noi scegliere come usare l’italiano.

Un capitolo di Potere alle parole è dedicato al grande mistero dell’italiano e ne ripercorre la storia. Dal passaggio dal latino al volgare nei Placiti Cassinesi, risalenti al 960 d.C. circa. Dalla Divina Commedia alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo del Cinquecento, che è considerata la prima grammatica dell’italiano. E ancora la nascita dell’Accademia della Crusca nel 1583, l’Unità d’Italia nel 1861, la rivoluzione della televisione e del neostandard, che non corrisponde più alla norma imparata a scuola e semplifica il sistema verbale.

Qualche esempio? L’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo (penso che è una buona idea), l’accantonamento di congiunzioni quali affinché, acciocché, poiché sostituite dal perché, il riflessivo apparente (mi bevo un caffè). Per i linguisti questo è un segno della vitalità della lingua, mentre per i grammarnazi è veleno nel bicchiere. Sicuramente la via da percorrere è l’equilibrio tra novità, semplificazioni, effettiva necessità e norma linguistica. O si rischia che passi il messaggio sbagliato, che tutti possiamo parlare e scrivere come ci pare. No categorico.

La comunicazione moderna ci vede impegnati in chat, post, email, pagine social. La consideriamo una comunicazione veloce e non impegnativa, mentre in realtà è una forma linguistica che non svanisce e dura nel tempo. Riflettiamo sempre prima di cliccare su invio, per rispetto della lingua italiana e dei lettori. Manteniamo costante una “tensione linguistica”. Come suggerisce Vera, senza sbracare troppo.

Le parole giuste si scelgono in base al contesto e alla situazione. Ovvio che più parole conosciamo, migliori saranno le nostre scelte. E le parole non sono tutte uguali. Alcune sono più conosciute, altre meno. Ci sono dizionari, come il Gradit, che riportano una sigla di due lettere accanto a ogni lemma. Sono le marche d’uso: FO (lessico fondamentale) le parole di uso quotidiano (casa, bambino, ciao, penna, mela e così via) ; AU (alto uso) parole che conosciamo bene ma che usiamo in casi specifici (esempi: impianto, possesso); CO (comuni) quelle che una persona di cultura medio-alta conosce indipendentemente dal proprio mestiere (esempi: aureo, imbottigliamento).

E ancora RE (regionalismi) ad esempio bacherozzo, dell’area meridionale, per scarafaggio; DI (dialettismi) come sciura in lombardo, anvedi in romanesco. ES (esoterismi), come sabot, kamikaze, paprika; TS (tecnico-specialistici) come demansionare, LE (termini letterari) come abbarbaglio usato da Dante; BU (basso uso) come svegliatore, OB (obsolete) ad esempio stravizzo per bagordo.

elenco delle marche d'uso che vengono messe ad inizio di ogni lemma in alcuni dizionari

Teniamo bene a mente però che non tutte le parole che usiamo le ritroviamo nei dizionari. Il vocabolario inserisce le parole che hanno un’ampia diffusione. E i neologismi che valore hanno? Servono quando occorre sopperire a una mancanza lessicale. Sappiamo però che si creano neologismi anche per necessità letterarie e creative, come nella pubblicità.

Le combinazioni da cui derivano lemmi nuovi sono principalmente due: endogene, ossia interne alla lingua, con l’estensione del significato, l’aggiunta di un suffisso o prefisso (esempio: ciaone, telefonino, dronista, addivanarsi, apericena). Ci sono poi neologismi che derivano da prestiti linguistici e sono quindi esogeni, come pallacanestro da basketball, grattacielo da skyscraper.

I neologismi sono linfa vitale per la lingua, sono naturali e non devono subire il grave torto del pregiudizio. Lo stesso vale per i femminili professionali, argomento scottante. Il problema in questo caso non è solo linguistico ma anche sociale e politico. Chi tifa per usare il presidente anche per le donne, chi la presidente. La questione ha la sua rilevanza e Vera Gheno ci invita a non minimizzarla, anche se è solo un tassello di un problema molto più grande, che riguarda la concezione della donna nella società e nel mondo del lavoro.

femminile professionale diverse correnti di pensiero. Ad esempio si dice il presidente o la presidente

Quello di Potere alle parole è un viaggio importante che fa luce su aspetti fondamentali. Sforziamoci di imparare la norma linguistica, coltiviamo la lettura, alleniamo la scrittura, manteniamo una tensione linguistica in ogni ambito, usiamo al meglio le nostre competenze linguistiche, rispettiamo gli interlocutori e i lettori.

Contribuiamo tutti al benessere e alla longevità della nostra amata, e più viva che mai, lingua italiana. E ricordiamoci che se non abbiamo niente da dire, il silenzio è la scelta migliore.

E tu ti senti un grammarnazi? Che rapporto hai con la lingua italiana? Scrivilo nei commenti.

Titolo: Potere alle parole

Autore: Vera Gheno

Casa editrice: Einaudi

Luogo e anno: Torino, 2019

Pagine: 160