Nome dell'autore: Irene Tempestini

Uso le parole come arma di costruzione di massa. Sono giornalista iscritta all'Ordine Nazionale dei Giornalisti, Web Writer, Copywriter, Blogger, Ghost Writer, Autrice e Social Media Manager. Sono anche una Storica dell'Arte e una giornalsita musicale.

On Writing: i consigli per scrivere di Stephen King

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Se come me sei fan di Stephen King e ti piace scrivere, avrai letto On Writing. In questo caso mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensi. Se non lo hai ancora letto invece, nessun problema, puoi sempre recuperare.

On Writing è un libro/manuale d’uso, ma è anche l’autobiografia sincera e senza filtri di Stephen King. Nel libro, King parla di come migliorare le proprie abilità nella scrittura. Il libro è diviso in due parti: nella prima racconta la sua vita e il suo percorso come scrittore. La seconda parte contiene i consigli per scrivere e imparare a farlo. Aggiungo io una terza parte, quella dedicata al racconto dell’incidente a cui è sopravvissuto miracolosamente nel 1999.

On Writing: le tre sezioni del libro

La prima e la terza parte del libro sono una vera e propria autobiografia di King. Sulle pagine di On Writing, King racconta la sua infanzia, la sua adolescenza e le peripezie degli esordi come scrittore. King parla della sua vita prima del successo planetario, delle difficoltà professionali, umane e della sua mamma. Con franchezza e naturalezza racconta anche la sua lotta contro l’alcolismo e apre le porte della sua casa. In particolare racconta della moglie Tabitha, di quanto sia fondamentale la sua presenza e il ruolo che King le ha attribuito, di “lettrice ideale” di ogni sua bozza.

Le pagine di questa sezione del libro scorrono via d’un fiato, trascinandoci dentro un’esistenza incredibile. La vita di una leggenda, che a causa di un gravissimo incidente stradale, stava per spezzarsi in un fosso ai lati di una strada del Maine. Qui mi fermo col racconto però, non voglio spoilerare troppo.

La seconda parte del libro è quella che contiene informazioni e suggerimenti per chi vuole migliorare la propria scrittura. King dà consigli su come scrivere, come strutturare una storia, creare personaggi, gestire la trama ed editare. Il suo stile narrativo è come sempre diretto, chiaro e privo di mezzi termini. Attraverso On Writing, King dona consigli pratici e semplici da seguire, basati sulla sua esperienza.

Non esiste una formula magica per diventare un bravo scrittore. Su questo King è categorico. La scrittura è un lavoro duro e solo la pratica porta a buoni livelli. King parla in modo dettagliato della sua cassetta degli attrezzi, indispensabile per scrivere. Racconta la sua routine, le revisioni, come lotta contro la pagina bianca, i linguaggi pieni di fronzoli e i giri di parole.

Per esempio, sai che Stephen King odia la ricerca ossessiva dei sinonimi? Se una parola non è sostituibile perché nessun’altra è adatta e non rende allo stesso modo, va ripetuta senza temere lo spauracchio della ripetizione. Sì proprio quello che la maestra ci segnava sempre in rosso. Quello che conta è la fluidità, produrre dialoghi e testi coinvolgenti. Se ci cade la spesa a terra fuori dal supermercato, per caso esclamiamo orsù, che disdetta!? Non credo proprio. Per King, per essere un bravo narratore bisogna essere veri.

Uno degli aspetti che ho sempre amato di questo scrittore, oltre alla bravura narrativa e creativa, è che non sale mai in cattedra e non gioca a chi ce l’ha più lungo. On Writing è uno di quei libri che leggo e rileggo. Un pozzo di informazioni e consigli pratici a cui si aggiunge il racconto sincero di una vita, quella di King, vissuta a pieno, nel bene e nel male. La grandezza di King è frutto dei suoi mille difetti, di cui parla lui stesso.

I consigli per scrivere di Stephen King

Come ho già detto non voglio svelare troppo e togliere il gusto della scoperta a chi non ha ancora letto il libro. Però voglio scrivere almeno alcune delle indicazioni che Mr.King ha condiviso con noi lettori. Non mi soffermo, le riporto soltanto:

  • Leggere e scrivere molto, tutti i giorni, possibilmente non durante le feste e le vacanze.
  • Trovare il proprio luogo di scrittura e stabilire una routine.
  • Scrivere la prima bozza con la porta chiusa e la seconda bozza con la porta aperta per ricevere gli input esterni.
  • Non preoccuparsi troppo della trama, ma piuttosto concentrarsi sui personaggi e sulle loro motivazioni.
  • Scrivere in modo diretto e sincero, senza cercare di impressionare gli altri.
  • Fare attenzione agli aggettivi e agli avverbi, spesso inutili. Non usare l’aggettivo “molto” e l’avverbio “veramente”.
  • Non usare frasi fatte o cliché.
  • Eliminare le parole superflue e i passaggi troppo descrittivi.
  • Evitare le digressioni e rimanere concentrati sulla trama.
  • Evitare di scrivere “voci passive” e preferire la voce attiva.
  • Non usare troppe metafore o similitudini.
  • Usare i dialoghi per far emergere la personalità dei personaggi.
  • Non avere paura di tagliare parti della storia se non funzionano.
  • Non avere paura di scrivere di cose scomode o difficili.
  • Non scrivere per soldi o per cercare di diventare famosi, ma scrivere per l’amore della scrittura.
  • Non farsi influenzare dalle critiche negative.
  • Non cercare di scrivere come altri autori, ma sviluppare il proprio stile.
  • Immergersi completamente nella storia e scrivere con passione.

Titolo: On Writing

Autore: Stephen King

Casa editrice: Sperling & Kupfer; Pickwick

Luogo e anno: 1^ edizione Sperling & Kupfer, 2001; 1^ edizione Pickwick, 2017

Pagine: 283

Sai qual è l’aspetto che mi ha sempre colpita di questo libro? Che insegna tanto senza avere la pretesa di insegnare niente.

Sono curiosa, cosa ne pensi? Lo hai letto? Lo leggerai? Scrivilo nei commenti qui sotto.

Come scoprire le fake news con il buonsenso e alcune semplici azioni

come scoprire le fake news

Il web è uno strumento a cui non vorrei mai rinunciare. La facilità con cui si possono trovare informazioni, rispetto agli anni in cui non esistevano né Google né i suoi simili, è qualcosa di troppo prezioso. Però in mezzo all’enorme quantità di scritti, immagini, video utili, ci sono anche quintali di immondizia. Il fenomeno delle fake news è un virus diffuso e contagioso. Una vera piaga. Come scoprire le fake news ed evitare di aggiungere altra immondizia nell’etere?

Sulle informazioni che non provengono da fonti ufficiali quali uffici stampa, enti pubblici, forze dell’ordine, agenzie la prudenza non è mai troppa. Per questo voglio raccontarti come mi muovo io per verificare se una notizia è una sonora bufala o verità.

Per prima cosa mi affido al mio buon fiuto, sviluppato in anni di esperienza nel mondo della scrittura e della comunicazione professionale. L’uso di toni eclatanti, catastrofici, imperanti a partire dal titolo, fa scattare in me subito il campanello d’allarme. Come la mancanza di fonti attendibili e verificabili. Ti faccio un esempio molto forzato ma utile per farti capire bene. Immagina di trovare in rete un articolo il cui titolo e testo recitano:

Titolo: Scoperto un batterio che sconfigge ogni malattia!

Abstract: Studiosi americani hanno annunciato che tra 5 anni al massimo saremo immortali. Grazie alla scoperta di un batterio che sconfigge ogni malattia e rigenera le cellule, la vita si allungherà e presto riusciremo a vivere fino e oltre i 200 anni.

Ora, è chiaro che già il titolo ha un tono spudoratamente esagerato, inadatto a un argomento così sensibile. Il testo poi lasciamo perdere. Parole gettate al vento, senza citare la fonte, quali studiosi hanno fatto la scoperta, dove è stata pubblicata, cosa ne dicono le testate più autorevoli e gli esperti. Come dicevo è un esempio lampante di fake news, ma non sempre è così facile riconoscerle.

A farmi scattare il dubbio sulla veridicità di una notizia, contribuiscono anche eventuali errori grammaticali e ortografici, l’uso di parole volgari e troppo colloquiali. Anche l’URL va osservato bene. Se contiene parole tipo complotto, verità assoluta, o termini incomprensibili, o ancora parole che scopiazzano nomi di giornali e portali famosi, attenzione. La fake news è dietro l’angolo.

Un articolo, a meno che non si tratti di un editoriale firmato dal direttore responsabile o da una firma prestigiosa ed esperta del giornale, non contiene mai idee personali, commenti, prese di posizione. Soprattutto in articoli di cronaca, finanza e politica. Diverso il discorso, per esempio, per un live report di un concerto, o la recensione di un album musicale.

Quando all’interno di un articolo vedo citate troppe volte fonti illustri, quasi a voler convincere più facilmente il pesce ad abboccare, mi scatta il dubbione. Per non parlare di quando leggo frasi abbozzate, con tanti non detti e puntini di sospensione usati a sproposito.

Se l’articolo non mi convince faccio affidamento anche a siti quali Bufale.net e Butac. Cercando nei loro archivi magari trovo proprio la news sulla quale ho il dubbio e posso capire se è vera o falsa.

Un’altra azione abituale che compio è quella di controllare se la notizia è riportata dalle testate più importanti e cercare su Google se e come viene affrontato l’argomento o è già stato smentito. Altre attività importanti sono il controllo di eventuali immagini contenute nell’articolo che vogliamo analizzare. Il controllo lo si può fare con la ricerca per immagini di Google, che ci dice se la foto è già stata pubblicata e in quale contesto. Big G è un alleato fidato nella lotta alle fake news. Navigando nella sezione Google News, le notizie già verificate hanno il tag Fact Check. La lotta alle notizie false è complicata. Facciamo tutti la nostra parte e prima di scrivere e divulgare informazioni, prendiamoci il tempo necessario per verificarne la correttezza.

Sei d’accordo? Fammelo sapere nei commenti.

 

 

Dove trovare le informazioni per scrivere un articolo

dove trovare le informazioni per scrivere articoli

Quando ho iniziato anni fa a lavorare nelle redazioni, il mondo dell’informazione era diverso. Non c’era ancora tutto online, e con tutto intendo archivi, fonti e strumenti vari. Lo stesso vale per il copywriting e la scrittura in genere. Oggi però voglio occuparmi nello specifico della news giornalistica. Sono promotrice convinta della rivoluzione del web che ha reso più agile la ricerca e la diffusione di contenuti. In rete si trovano molte informazioni utili per scrivere un articolo. A patto che i contenuti siano di qualità. Il resto per me va dritto nella spazzatura.

Spesso mi chiedono dove trovare le informazioni per scrivere. Per questo ho deciso di raccontarti come mi muovo io. Anche se ognuno di noi ha le sue abitudini e non esistono regole prestabilite, alcune pratiche e il buonsenso dovrebbero, almeno quelli, mettere tutti d’accordo.

Prima del boom di internet gli articoli li scrivevo quasi esclusivamente per strada, tra la gente, con gli occhi spalancati e le orecchie a parabola per raccogliere ogni spunto utile. Da tempo il web si è aggiunto a questa modalità, facilitando molto le cose. La rete ci offre informazioni, email, newsletter, agenzie, banche dati, grafici e luoghi di scambio quali i social e le community. Oggi abbiamo un’offerta ben più ampia di dati per scrivere articoli. E di questo dobbiamo essere grati.

Notizie e fonti non mancano mai, anche se non è tutto oro quello che luccica. Le fake news e i contenuti trash sono un male diffuso e riconoscerli e non diffonderne di nuovi è un dovere. Ma di questo parlerò in un altro articolo. Ora torniamo alle fonti.

Sul desktop ho la mia cassetta degli attrezzi che apro ogni giorno. Ho l’amico Feedly, l’aggregatore di contenuti che mi permette di seguire i siti che mi interessano e non perdermi le novità. Immancabile Evernote, sul quale salvo le pagine dei siti web nei quali mi imbatto navigando e che voglio approfondire in seguito. Consiglio anche Toby, l’estensione di Google che permette di organizzare i preferiti attraverso tabs e tag.

Ho attivi gli Alerts di Google per le parole chiave di mio interesse e seguo, tramite Google Trends, gli argomenti di tendenza e la loro evoluzione. Non può mancare AnswerThePublic, che mi permette di studiare gli interessi del pubblico per una specifica parola chiave.

Un altro strumento utile fornito da Google e ideato per i giornalisti è Pinpoint, che permette di esplorare e analizzare archivi di pdf, immagini, audio, video, da fonti attendibili di tutto il mondo.

Sempre il nostro caro Google ci offre l’imperdibile sezione dedicata alle News, oltre a Discover e la ricerca per immagini. Non devono mancare le letture dei giornali di riferimento, almeno i più autorevoli. Chi preferisce, invece di attivare singoli abbonamenti, può usare Simul News, un’app che permette di gestire più abbonamenti in un un unico spazio.

Nella mia cassetta degli attrezzi ci sono anche le agenzie, gli uffici stampa e un indirizzario con contatti email diviso per argomenti. Ricevo ogni giorno comunicati stampa e notizie da uffici stampa, enti, associazioni e agenzie. Ad alcuni ho chiesto io di essere aggiunta, altri mi hanno chiesto se potevano inserirmi. Funziona così.

Per me aprire frequentemente le email è fondamentale. Per questo ho i miei indirizzi a disposizione su tutti i device che utilizzo, smartphone compreso. Non posso lasciare che nessuna comunicazione vada persa. Ho bisogno di leggere, salvare, rispondere, chiedere altre informazioni, esplorare, confrontare quanto ricevuto e studiare quello che ho a disposizione. Parte tutto da queste sane abitudini, almeno per me è così. Solo dopo mi concentro sulla stesura dell’articolo.

Essere giornalista significa dedicare anche del tempo alle pubbliche relazioni, crearsi una rete di contatti fidati e coltivare i rapporti. Cerco sempre di essere un’osservatrice attenta, mi affido alla mia curiosità che non vuole essere mai morbosa, uso il buonsenso e non smetto di studiare e ampliare le mie conoscenze.

Sono una convinta sostenitrice della cultura a tutto tondo. Solo così si può comprendere la realtà. Non viviamo dentro silos a tenuta stagna e ogni ambito interagisce ed è influenzato da ciò che ha intorno. È questo il mondo di cui dobbiamo dare notizia. Per farlo serve una visione ad ampio raggio.

Non dobbiamo avere paura di arrivare dopo gli altri. Per scrivere un articolo di qualità, affidabile e puntuale serve tempo. I lettori non vogliono la mediocrità. O almeno non quelli a cui mi rivolgo io. Oggi abbiamo anche l’intelligenza artificiale che può aiutarci a cercare le fonti che ci erano sfuggite, creare le strutture degli articoli e suggerirci i titoli. L’intelligenza artificiale può darci spunti interessanti, per dirla semplice. Il tutto però va preso con le pinze e, come sempre, verificato. Guai a gettare altra spazzatura sul web, ne abbiamo tutti piena la SERP.

Raccontami come ti muovi e quali sono le tue sane abitudini per trovare informazioni. Lasciami un commento.

Scrittura inclusiva, facciamo un po’ di chiarezza

scrittura inclusiva

Alla domanda se sono d’accordo sull’uso della scrittura inclusiva, di getto risponderei di no. Per quello che è il mio gusto, il mio vissuto, lo studio della lingua italiana e delle sue regole che porto avanti da anni. Che mi si chiami direttore o direttrice per me non fa alcuna differenza. Anzi, a essere sincera mi piace più direttore. Il problema però ha anche un aspetto sociologico e richiede la massima delicatezza. Là fuori, e magari ci sei anche tu, possono esserci persone che soffrono a causa del loro mancato riconoscimento come individui. E se per queste persone la mancanza di un linguaggio inclusivo è motivo di disagio, non possiamo fare finta di niente.

Fai attenzione, perché oggi la questione non riguarda solo maschi e femmine. Ci sono persone che non si riconoscono in nessun genere e altre che stanno affrontando un lungo e complicato periodo di transizione. Negli ultimi tempi si discute su quali siano le soluzioni migliori da adottare. L’argomento è dibattuto anche in riferimento al gender gap. Un tema controverso e complesso, di cui non mi occupo e che cito soltanto. Avrai sicuramente presente la recente discussione sul titolo con cui riferirsi a Giorgia Meloni. Presidentessa o Presidente? La o il Presidente?

I simboli inclusivi usati per la scrittura sono @ e *. Nella lingua parlata viene usato lo schwa ə al singolare e з al plurale. Purtroppo ogni giorno se ne sentono di nuove, e alcune teorie sono alquanto grottesche. Per quanto mi riguarda, non sono d’accordo con i grammarnazi e non lo sono nemmeno con alcuni sociolinguisti che affrontano la grammatica come se fosse solo uno strumento da adattare alle necessità sociali del momento. Non funziona così. La grammatica è una disciplina ben più complessa. Si evolve con noi nel tempo, è vero, ma è sbagliato pensare di poterla plasmare per assecondare ogni nostro bisogno. Così facendo distruggeremmo la lingua.

Aggiungo, e mi preme molto farlo, che chi continua a credere che i generi nella grammatica siano legati ad aspetti prettamente biologici, non sa di cosa parla. La grammatica è un codice con  regole che servono per rendere comprensibile la lingua. Ha una profonda connotazione sociale e lo sappiamo, perché i suoi cambiamenti e la sua evoluzione dipendono da tutti noi. Però la grammatica non merita di essere smantellata per rispondere a ogni nostra necessità sociale. Riporto l’intervento di Apollo D’Achille dell’Accademia della Crusca, che sull’uso di simboli e in particolare dello schwa scrive:

L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro, così come, nella categoria grammaticale del numero, distingue il singolare dal plurale, ma non ha il duale, presente in altre lingue, tra cui il greco antico. Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (come finora è stato interpretato, e non certo ingiustificatamente), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti.

A questo punto avrai capito che non uso i simboli inclusivi nei miei scritti. Li uso solo nei copy, nelle newsletter e nei testi dei clienti, se me lo chiedono. Non sono il tipo che non cambia idea nella vita e magari in futuro li userò, felice di farlo. Per ora no. So che allo stato attuale delle cose, come dice anche D’Achille, dovremmo pensare ad azioni concrete di ben altro tipo, che garantiscano l’inclusione di ogni singolo individuo. 

E tu che ne pensi? Usi i simboli inclusivi? Parliamone nei commenti, è un argomento di estrema attualità.

 

 

Libri di grammatica italiana per tutti

libri di grammatica italiana per tutti

 

Scrivere di grammatica italiana mi piace. Anche insegnarla. Sono diplomata maestra per la scuola primaria, ho una laurea umanistica, lavoro con le parole e soprattutto ho una gran passione per tutto ciò che ruota attorno al linguaggio. Insegno letteratura a studenti americani e in passato anche a studenti italiani. Insomma, le parole sono il mio pane quotidiano, per amore e professione.

So bene però quanto possa essere difficile per molti digerire la materia, che ha le sue regole da imparare. Ripeto, da imparare. Non ci sono altre strade per parlare e scrivere bene. Quando scrivo sul blog, penso ai miei lettori, che sono professionisti molto intelligenti, che hanno piacere di leggermi e magari la consapevolezza di avere qualche lacuna da colmare. E questo, lasciamelo dire, merita un applauso. Fattelo davvero, se sei tra le persone che non hanno paura di mettersi in gioco e migliorare.

Se poi a leggere sono anche giovani studenti, be’ doppia soddisfazione e sotto a chi tocca ragazzi. La grammatica non è un buco nero. È la chiave della nostra realizzazione individuale e sociale. Chiariamo subito ogni dubbio. Tutto quello che trovi in rete è molto utile e ci sono contenuti davvero ben fatti e professionali. Mi sento però di consigliare l’aggiunta di alcuni libri di grammatica, sorattutto a chi vuole approfondire l’argomento in maniera più accurata e strutturata.

Ecco quindi 6 libri che ho selezionato per te. Ti saranno utili per migliorare la grammatica. Vediamo insieme quali sono:

  1. “Grammatica italiana” di Luca Serianni. Chi conosce Serianni sa già che con questo libro si vince facile. Al suo interno trovi ogni aspetto della grammatica, dalla morfologia alla sintassi, con esempi e spiegazioni dettagliate.
  2. “Grammatica pratica della lingua italiana” di Bruno Migliorini. Un classico intramontabile della grammatica italiana, con tanti dettagli sulle regole grammaticali e molti esempi che rendono più facili i concetti.
  3. “La Grammatica italiana per il XXI secolo” di Giorgio Graffi. Il libro punta soprattutto a spiegare le regole grammaticali più recenti e i cambiamenti che sono avvenuti nell’italiano parlato e scritto. Lo consiglio a chi ha voglia e curiosità di capire com’è cambiata la nostra lingua nel tempo.
  4. “Grammatica italiana con esercizi” di Antonio Carluccio e Maria Latella. Contiene molti dettagli sulla grammatica italiana. Alla teoria si aggiungono numerosi esercizi. Un testo che suggerisco a chi vuole mettere in pratica subito quanto appreso.
  5. “Grammatica italiana per tutti” di Marco Mezzadri. Un libro adatto alle esigenze dei principianti ma anche degli studenti più preparati. Molto utile la parte dedicata agli esercizi.
  6. “Grammatica essenziale della lingua italiana” di Liliana Cardinaletti e Teresa Ravecca. Le autrici lo hanno scritto per aiutare gli studenti a comprendere le basi della grammatica italiana senza grosse difficoltà. Al suo interno trovi la sezione dedicata agli esercizi.

Esistono tanti libri a cui puoi affidare il tuo apprendimento. Quelli che ti ho proposto sono utili e soprattutto chiari da leggere. Avere la possibilità di consolidare le nozioni mettendosi subito alla prova con gli esercizi proposti facilita molto lo studio. Teoria e pratica a braccetto, sempre. Almeno per me è così.

Adesso che hai le idee più chiare, mi raccomando, chiediti cosa vuoi per te stesso o per tes tessa, qual è il tuo livello di conoscenza, stabilisci gli obiettivi e scegli il testo più adatto per te. Diventerà un immancabile compagno di viaggio, selezionalo con cura.

Sarei curiosa di sapere quali libri di grammatica italiana conosci, studi o dei quali hai un buon ricordo. Scrivilo nei commenti.

Intelligenza artificiale e scrittura. Attenzione agli isterismi

Intelligenza artificiale e scrittura. Attenzione agli isterismi

Detto tra noi, ne ho la penna piena di discorsi superficiali sull’intelligenza artificiale usata per scrivere. Dico la mia perché non posso fare finta di nulla. Sarebbe un atteggiamento poco intelligente. Inizio col dire che l’AI si usa da tempo e ho i dati che lo dimostrano, soprattutto nel giornalismo. Già questo basta per stemperare un attimo gli isterismi di massa.

Purtroppo si sa che quando si dà uno strumento in mano a tutti c’è il rischio che si alzi il grido “abbiamo scoperto l’acqua calda”. Anzi rende meglio l’idea la scoperta di Ronconi, che prese un rospo per i … gioielli di famiglia e con grande stupore disse “Allora è un maschio!”

Però per me questo è il bello di noi esseri umani. Siamo un mix di emozioni e contraddizioni, nessuno potrà mai capirci fino in fondo, nessuno potrà mai replicarci. Ce la suoniamo e ce la cantiamo e siamo unici per questo.

Con tutta onestà, devo dire che il gran vociferare su ChatGPT inizialmente mi ha spaventata. Le parole non riempiono solo la mia anima di gioia, ma anche il mio carrello della spesa. Chi non sarebbe spaventato nel leggere e sentir dire ovunque, anche dalla signora al bar con la bocca sporca di caffè, “Giornalisti, copywriter, scrittori, chiamate Taffo e fatevi organizzare un bel funerale”.

Fa male, è inutile negarlo. Poi però la fiamma gigante si ridimensiona fino a diventare un fuocherello. L’intelligenza artificiale non è né Dio né Satana, è uno strumento, direi un’opportunità, che può agevolare l’esistenza di chi scrive. Chiariamo subito che l’intelligenza artificiale non uccide e non ucciderà nessuno, a meno che non decidiamo noi di friggere il nostro cervello in olio di ignoranza. E allora ben venga l’estinzione di massa.

Certo, ripeto, sarebbe meglio che l’AI non finisse in mano a cani e porci. E sarebbe meglio se le fette di prosciutto non foderassero gli occhi della gente, soprattutto di imprenditori, aziende, professionisti o sedicenti tali.

Ricordi quando Archimede si immerse nell’acqua ed esclamò Eureka! Oggi molti stanno testando l’AI e si sentono come Archimede. E io mi chiedo e ti chiedo. Hanno capito queste persone cosa differenzia un essere umano da una macchina? Hanno capito che l’automazione nel campo della scrittura farà piazza pulita solo degli scrittori farlocchi, sgrammaticati, privi di brio creativo che si sono finti professionisti fregando un sacco di gente? Pensare che tanti di questi personaggi sono là fuori a brindare e invece dovrebbero seguire loro il consiglio della sciura al bar e iniziare a contattare Taffo.

Non è quella dell’intelligenza artificiale la prima scoperta di Ronconi a cui ho assistito in vita mia. Prima i computer, poi internet, gli smartphone, i navigatori satellitari, la robotica. Ogni volta uno tsunami di catastrofismi ha mandato in crisi sul momento un sacco di settori. Ansia, depressione, bandiere bianche, segni della croce, sguardi al cielo e chi ce l’ha, intense toccate alle sfere là in basso.

Poi però l’umanità si è assestata, come sempre accade. Ha imparato a gestire le novità. Anche perché ricordiamoci che ogni scoperta è frutto della mente umana, non di una magia di Harry Potter. Non siamo fatti di database e prompt, noi umani abbiamo luminose sinapsi che possiamo agghindare con i colori dell’anima e tante spolverate di emozioni. Ce lo siamo dimenticato? Mi dici quando leggi cosa cerchi? E quando spendi i tuoi soldi e il tuo tempo, cerchi qualità o piattume che ti spedisce a calci sui denti nella voragine del nulla, a ingozzarti di melma?

Un bel respiro e osserviamo l’intelligenza artificiale razionalmente. Siamo noi professionisti che ne trarremo vantaggio, non il contrario. A patto di farne un buon uso ovvio.  A patto di essere professionisti seri. Altrettanto ovvio. E ringrazio Giulia Bezzi di SeoSpirito per avermi tranquillizzata. Come? Facendomi vedere per prima ChatGPT per quello che è: uno strumento da domare e sfruttare.

Ti parlavo di dati ed è il momento di vederli insieme. Sono tratti da uno studio dell’Osservatorio Universitario sui linguaggi del giornalismo multimediale, Dipartimento di Scienze Sociali – Università degli Studi di Napoli Federico I. Lo studio, promosso dall’Ordine dei Giornalisti nel 2020, me lo sono letto tutto e quanto sto per riportarti è davvero interessante.

I software di scrittura automatizzata, usati già da tempo negli Stati Uniti, possono generare in autonomia piccoli articoli e report utilizzando template e algoritmi di Natural Language Generating. Questi software vengono spesso affiancati da strumenti di ricerca trend o dati. Gli articoli così ottenuti sono usati dalle testate giornalistiche soprattutto per le news di aggiornamento.

Il New York Times è stato il portabandiera della scrittura automatizzata nel giornalismo. Al suo interno ha anche un team dedicato allo sviluppo dei software e di una strategia che faccia lavorare spalla a spalla giornalisti, tecnici e AI. Mi viene in mente la Michielin che canta nessun grado di separazione. Alla faccia di chi ci vuole organizzare il funerale domani.

I dati possono annoiare lo so, ma dai un’occhiata qui sotto. Vedi che l’AI nel mondo della scrittura non è nata ieri? Eppure le 5 redazioni citate stanno assumendo e ampliando la loro newsroom. E non licenziando:

  1. The Washington Post: genera aggiornamenti blog e twitter
  2. The Guardian: genera report unendo template e dati e usa NLP per generare articoli
  3. Los Angeles Times: articoli e report su dati specifici con pubblicazione
  4. Forbes: suggerisce titoli e immagini in base ai trend
  5. Sportplatz Media: Natural Language Generation su dati sportivi e meteorologici

Francesco Piccinini, quando era ancora direttore di Fanpage.it, fu intervistato per lo studio commissionato dall’Ordine dei giornalisti e disse:
“È sempre più facile accedere ad enormi quantità di dati aggiornati, ma ritengo che il ruolo dell’intelligenza umana sia indispensabile per fornire una lettura di questi dati, anche perché non esiste ancora un’intelligenza artificiale predittiva altamente funzionante. In ambito sportivo, ad esempio, si è commentato per anni il dato del possesso palla per misurare la forza di una squadra di calcio. In realtà, esistono molti altri dati che ti danno la possibilità di capire se una squadra sta andando bene o male. Secondo me il giornalismo oggi ha due compiti fondamentali: il primo è saper leggere questi dati e il secondo è saperli sintetizzare per diffonderli al grande pubblico”.

A questo punto sai cosa ho fatto, ho intervistato proprio ChatGPT e gli ho chiesto di dirci cosa ne pensa sull’argomento della scrittura automatizzata. Questo il risultato, copiato e incollato. Ti aspetto alla fine per dirti la mia:

L’intelligenza artificiale (IA) e gli scrittori sono entrambi impegnati nella creazione di contenuti, ma ci sono alcune importanti differenze tra i due. In primo luogo, l’IA è una tecnologia automatizzata che utilizza algoritmi e dati per compiere attività che normalmente richiederebbero l’intelligenza umana. Gli scrittori, d’altra parte, sono esseri umani che utilizzano la loro creatività e abilità per creare testi scritti.

In secondo luogo, l’IA è in grado di generare contenuti in modo molto rapido e preciso. Ad esempio, un algoritmo di IA può generare notizie, articoli, post sui social media e altro ancora in pochi secondi. Gli scrittori, d’altra parte, possono impiegare giorni, settimane o persino mesi per completare un solo pezzo di scrittura.

In terzo luogo, l’IA è in grado di generare contenuti su una vasta gamma di argomenti e in molti diversi stili. Gli scrittori, d’altra parte, tendono ad avere un’area di specializzazione e uno stile di scrittura specifico.

Infine, l’IA non ha emozioni e non può comprendere il contesto emozionale di una situazione, mentre gli scrittori utilizzano spesso le proprie emozioni per creare contenuti più coinvolgenti e significativi.

Tuttavia, nonostante queste differenze, l’IA e gli scrittori possono lavorare insieme per creare contenuti ancora migliori. Ad esempio, l’IA può aiutare gli scrittori a generare idee per i loro scritti o a correggere gli errori di ortografia e grammatica. Inoltre, alcune forme di scrittura generativa utilizzano l’IA per creare contenuti in modo autonomo, ma richiedono ancora l’intervento umano per la revisione e la fine.

In sintesi, l’IA e gli scrittori sono entrambi impegnati nella creazione di contenuti, ma ci sono alcune importanti differenze tra i due. L’IA è una tecnologia automatizzata che utilizza algoritmi e dati per generare contenuti rapidamente e precisamente, mentre gli scrittori sono esseri umani che utilizzano la loro creatività e abilità per creare testi scritti. Tuttavia, l’IA e gli scrittori possono lavorare insieme per creare contenuti ancora migliori.

Eccomi, sono tornata, per carità. Te lo avevo detto che siamo tutti a rischio piattume. Se avessi mai scritto in vita mia una roba simile, sarei già a ruzzolare nel fango insieme ai maiali. Comunque mi interessa sottolineare che il buon ChatGPT dice chiaramente che lui senza di noi si attacca al tram. Sono parole sue:

  • AI non ha emozioni e non può comprendere il contesto emozionale di una situazione. Gli scrittori creano testi più coinvolgenti e significativi
  • AI non ha stile di scrittura specifico
  • AI e scrittori possono lavorare insieme per creare contenuti migliori. L’intervento umano è fondamentale

Grazie ChatGPT, ti stringo la mano. Non sei tu il problema, è l’uso che ne faranno gli altri. Uso che spero non ci seppellisca sotto quintali di spazzatura.

Mi dici cosa ne pensi e che rapporto hai con l’intelligenza artificiale? Scrivilo nei commenti, questo è un argomento che scotta.

 

Cos’è la grammatica e perché si usa

Grammatica. In questo preciso istante vorrei avere il dono della chiaroveggenza per vedere la tua espressione. Forse stai rabbrividendo, o starai sentendo le fiamme salire dai piedi fino alla testa. Chissà magari stai imprecando. Dai, ammettilo, è così. E pensare che mi capita di parlare con persone che non si sono mai nemmeno chieste che cos’è la grammatica e perché si usa.

Cosa significa grammatica e a cosa serve

Per capire il senso delle parole, ricordati di cercare la loro etimologia. Grammatica deriva dal latino grammătĭca e dal greco γραμματική (grammatiké). E gramma in greco è la singola lettera. Ma allora cos’è la grammatica? La grammatica non è altro che l’arte di scrivere e parlare nel modo giusto. Pensa a quando esprimi un concetto, o a quando sei tu a dover capire un interlocutore. La comprensione è alla base del nostro vivere. Dai tempi delle caverne è così. L’essere umano ha bisogno di scambiare concetti e non solo sguardi.

La grammatica, con il suo insieme di regole, ci rende parte attiva del mondo. Perché allora averne paura o addirittura odiarla? Uno strumento di tale utilità va tutelato, coltivato, rispettato e anche amato. Per farlo bisogna studiare le sue regole e smetterla di sbeffeggiarle. Non ce lo possiamo permettere, perché senza un linguaggio condiviso dalla comunità, siamo individui a metà, chiusi in una bolla impermeabile di solitudine.

Ogni lingua ha la sua grammatica che contempla regole per la costruzione di frasi, come la punteggiatura e la coniugazione dei verbi. E ancora regole per la costruzione di parole, come la formazione del plurale e l’utilizzo dei suffissi. Sappiamo che il linguaggio è in costante evoluzione e siamo tutti noi a determinarne i cambiamenti. Per questo la grammatica si distingue in descrittiva e normativa. La grammatica descrittiva studia la lingua scritta e parlata da una comunità, senza giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato. Agli antipodi si pone la grammatica normativa, o prescrittiva che dir si voglia, che stabilisce regole precise da seguire.

Perché dobbiamo amare la grammatica

Dovessi dare un volto alla grammatica sulla base delle parole, non proprio gentili, che le ho sentito rivolgere, sarebbe quello di Annie Wilkes. Chi è? No, non farmi questo. Cerca subito chi è Annie se non lo sai. Ti do un indizio. Misery ti dice niente?

Sono sincera, a me la grammatica piace ed è sempre piaciuta, fin dalle elementari. Lo so, può darsi che ti stiano uscendo gli occhi dalle orbite, ma che ti devo dire, al cuor non si comanda. Per questo, e lo ripeto, la grammatica mi è sempre piaciuta. Le dedico tempo, la rispetto, ne ho cura.

Non rientro nella categoria dei grammarnazi spocchiosi, quello no, ma da chi usa la lingua per professione, riveste ruoli importanti e cariche pubbliche, parla in televisione, scrive sui giornali, pubblica libri, gradirei l’uso corretto della grammatica. Gradirei per non dire pretenderei.

Ma come si fa ad amare la grammatica? Prima di tutto conoscendone il valore, l’utilità, il potere e la storia. Il nemico va sempre conosciuto no? Ricordi quando Massimo Decimo Meridio ne Il Gladiatore dice che “un soldato ha il grande vantaggio di poter guardare il suo nemico negli occhi”? Fai tesoro di queste parole.

cos'è la grammatica e perché si usa

 

Le tre categorie della grammatica

La grammatica è una disciplina complessa, va detto. La tradizione la divide in tre grandi categorie, di cui riporto il significato fornito dal vocabolario Treccani:

  • fonologia: dottrina dei suoni di cui è costituita la parola
  • Morfologia: ricerca, in ogni parola, degli elementi formativi, affissi e desinenze, che si aggiungono alla parte radicale, e come studio della loro natura e funzione. Per semplificare studia come si forma il plurale, come si coniugano i verbi e così via
  • Sintassi: studia la connessione di unità minori a formare unità maggiori. In pratica la costruzione di una frase

Quello che vorrei fosse chiaro, è che la grammatica non è un cecchino invisibile pronto a colpire vigliaccamente. La grammatica è un’opportunità. Conoscerla ci rende individui e professionisti capaci di interagire con la comunità di cui siamo parte.

Avrò modo di approfondire l’argomento, che mi appassiona e spero sia così anche per te.

Nel frattempo scrivimi nei commenti che rapporto hai con la grammatica. Non avere paura, qui nessuno è un inquisitore.

 

 

 

 

Libri per chi vuole scrivere bene

libri per chi vuole scrivere bene

Leggo molto e rileggo anche. Mi piace tornare tra le pagine di quei libri che non mi stancano mai e che fanno parte della mia cassetta degli attrezzi per scrivere bene. Libri che sono fonte di ispirazione, da leggere e rileggere altre mille volte. Attenzione però, questa non è una classifica. È solo una piccola, anzi minuscola, selezione di libri fondamentali per chi vuole lavorare con le parole e raggiungere obiettivi concreti. O almeno provarci. Aggiungerò sicuramente altri titoli prossimamente. Ora partiamo però.

Potere alle parole, Vera Gheno

Ebbene sì, le parole hanno un potere. Un grande potere. E Vera Gheno lo spiega, con la sua impeccabile chiarezza, in un libro imperdibile, Potere alle parole. Vera ci ricorda che siamo tutti parte attiva in questa società della comunicazione, e siamo tutti chiamati a usare bene la lingua e mantenerla viva e vegeta. La capacità linguistica è come un muscolo e va allenata con costanza. È altrettanto importante abolire i tanti falsi miti che ci fanno credere che il dialetto sia la peste bubbonica, i neologismi un becchino pronto a seppellire la nostra lingua, i forestierismi la vergogna delle vergogne.

Porsi la domanda sul perché si parla e si comunica, porta con sé alcune risposte illuminanti. Si parla per definire sé stessi, per descrivere il mondo e comunicare con gli altri. Per farlo occorre la lingua, che è un codice condiviso dalla comunità e che funziona grazie a un insieme di convenzioni e regole.  Aderire alla norma linguistica serve per capirsi. Alla base della comunicazione c’è la lingua, che è fatta dai suoi parlanti e non dagli accademici.

Per questo motivo ci sono parole che, se usate da tante persone per un lungo periodo, diventano la norma ed entrano nel vocabolario.  La lingua e le sue regole sono in costante evoluzione, per poter stare al passo coi tempi e assecondare i bisogni dei parlanti.

L’errore nella comunicazione va evitato, per evitare brutte figure, e perché distrae dal contenuto della comunicazione stessa. L’autrice fa l’esempio dell’alitosi. Se il nostro interlocutore ha un alito pesante, può anche dirci che siamo i migliori sulla faccia della terra, sta di fatto che noi vorremo solo tapparci il naso o scappare. Vera Gheno però non vede di buon occhio, e nemmeno io, i grammarnazi, ossia quegli spocchiosi che san tutto loro, che non perdonano il minimo errore e lo fanno ergendosi a imperatori del verbo, gettando sterco sui poveri malcapitati.

Vera ci guida tra esempi pratici di parole e fatti su cui si dibatte spesso, quali il piuttosto che, qual è con apostrofo o meno, a me mi, gli inglesismi, i giovani etichettati come attentatori della lingua italiana. A proposito di lingua italiana, Vera ne ripercorre la storia, dalle prime forme di comunicazione verbale e scritta, ai dialetti, al neostandard della tv, fino ad arrivare alla lingua della strada, che parliamo e scriviamo nel quotidiano, social network compresi.

Sapere usare bene la lingua italiana, in ogni contesto, evitando errori, è una forma di rispetto verso il lettore, spiega Vera Gheno. Per questo è preferibile mantenere una perenne “tensione linguisitca” anche quando scriviamo un messaggio su Whatsapp.

Gli unici responsabili della nostra lingua siamo noi, che abbiamo il dovere e il potere di scegliere di rispettare la norma linguisitca e tenere viva la lingua italiana, anche adattandola ai tempi moderni e ai bisogni attuali. Solo così una lingua si salva dall’estinzione. Ognuno di noi deve imparare a usarla al meglio delle proprie capacità e competenze, senza snobbare nessuno, senza vestire i panni del superbo possessore della conoscenza assoluta.

Volendola dire come il filosofo Paul Grice, che Vera Gheno cita, le massime conversazionali per una comunicazione sincera ed efficace sono: quantità, qualità, relazione e modo.  Dire meno è più utile che dire troppo ed essere sinceri paga sempre, così come l’essere pertinenti e non uscire dal seminato del discorso. Infine essere chiari e farsi capire, dando importanza all’interlocutore. E ricordiamoci che qualora non si avesse niente da dire, è meglio tacere.

Il mestiere di scrivere, Luisa Carrada

Il sottotitolo non potrebbe essere più chiaro di così: le parole al lavoro, tra carta e web. Luisa Carrada è una veterana della scrittura professionale, per me una voce familiare. Non esagero se dico rassicurante. Più che un manuale, Il mestiere di scrivere è un racconto sulla scrittura professionale contemporanea, in Italia e nel mondo. Il libro è di qualche anno fa, ma è ancora attuale.

All’interno troviamo suggerimenti e consigli pratici di cui fare tesoro. Mi piace molto la positività con cui Luisa affronta l’argomento scrittura. Il suo entusiasmo stimola ad approfondire e  migliorare  le proprie competenze. Luisa parte dal presupposto che il web ha cambiato le nostre abitudini di lettura e ricorda quanto è fondamentale l’aspetto visivo dei nostri testi. Senza dimenticare che scrivere testi brevi ma efficaci è una delle chiavi del successo di una buona comunicazione.

I blog hanno spazzato via i linguaggi istituzionali e i tecnicismi del marketing. Il distacco tra aziende e persone si è ridotto, annullato. Le persone parlano per le aziende, le aziende scrivono come le persone. E allora appendiamo al chiodo la scrittura accademica, ridondante, prolissa. Abbattiamo quel muro tra chi scrive e chi legge. Il racconto sincero dei nostri valori ci fa guadagnare la fiducia dei lettori. Se a questo affianchiamo l’ottimizzazione per i motori di ricerca e uno stile unico e personale, siamo sulla strada giusta per fare al meglio il nostro amato lavoro.

Lavoro, dunque scrivo! Luisa Carrada

Un altro contributo sempre di Luisa Carrada è Lavoro, dunque scrivo! Luisa Carrada approfondisce tutti gli aspetti classici contenuti nei manuali di scrittura, dal lessico alla sintassi. Aggiunge i microcontenuti, le liste, i numeri, titoli e sottotitoli, testi alternativi, elementi più contemporanei, che dobbiamo gestire al meglio. E lo dobbiamo fare tutti, perché ognuno di noi, professionista, imprenditore, artigiano, ogni giorno scrive per presentare se stesso e le proprie attività.

La scrittura oggi è davvero di tutti. Non per tutti allo stesso livello qualitativo, questo è ovvio, non possiamo essere tutti premi Pulitzer. Il web però ha aperto le porte della scrittura a chi ha un lavoro o lo sta cercando. La scrittura ci accomuna, è uno strumento potente che dobbiamo maneggiare con cura e professionalità.

L’autrice invita a esercitarsi ogni giorno. Per questo Carrada suggerisce esercizi e consigli senza dimenticare il lato più divertente e creativo della scrittura. Scrivere è un mestiere sì, ma è anche un gioco appasionante. Per me irrinunciabile.

Testi che parlano, Valentina Falcinelli

Con la prefazione di Luisa Carrada, Testi che parlano è il primo libro, pubblicato in Italia, interamente dedicato al Tone of Voice. Per noi italiani, per favore, Tono di Voce. A scriverlo Valentina Falcinelli, fondatrice di Pennamontata. Valentina ci ricorda che prima di mettere le mani sulla tastiera e la penna sulla carta, dobbiamo porci la fatidica domanda: come voglio che i miei testi parlino ai lettori?

Sappiamo cosa dire ma anneghiamo nel mare del come. Le parole scritte parlano e devono rispettare e rispecchiare la nostra personalità e i nostri valori. Solo così beneficiamo dalla nostra unicità. I clienti non comprano solo prodotti e servizi, vogliono i nostri valori. Il marketing tradizionale ha lasciato il posto, negli ormai lontani anni Novanta, al marketing esperienziale. Ricordiamocelo.

Capire chi siamo e come vogliamo comunicare serve a definire la nostra brand identity. Grazie al tono di voce ci distinguiamo e usciamo dall’anonimato. In poche parole, le persone si ricordano di noi. L’autrice spiega, con esempi pratici, come scegliere il proprio tono di voce. Testi che parlano è un manuale d’uso per professionisti che vogliono scrivere bene e raggiungere gli obiettivi stabiliti. Per me è un testo sacro, fisso sulla scrivania.

Fare blogging, Riccardo Esposito

Esiste un metodo per scrivere contenuti vincenti? Domanda da un milione di euro. Nel suo libro Fare blogging, Riccardo Esposito fornisce una serie di indicazioni e consigli utili per seguire un metodo di lavoro che fa la differenza. Del resto il suo blog My Social Web per me è un porto sicuro. Una lettura insostituibile.

La prima parte di Fare blogging è dedicata al macro-tema dell’organizzazione. Per fare blogging come si deve, bisogna avere un piano editoriale e stabilire gli obiettivi a lungo e breve termine. Definire il target a cui ci rivolgiamo con i nostri contenuti e creare le nostre reader personas. Dobbiamo identificare il nostro tono di voce e pianificare un calendario per la pubblicazione. Riccardo dà anche una serie di suggerimenti relativi alle fonti da tenere sempre ben presenti per la stesura dei nostri contenuti per il blog.

La seconda parte del libro scende nello specifico, elencando i diversi tipi di post, dai tutorial ai casi studio. Come si inizia un articolo? Come si scrive il titolo? Come si migliora la leggibilità dei contenuti? Come si fidelizza un lettore? Riccardo Esposito risponde ad ogni quesito.

 

E voi, quali libri per scrivere bene avete letto e perché no, riletto? Scrivetemi un commento, non andatevene senza dire la vostra. Sarebbe un vero peccato.

 

 

 

 

 

 

Il potere delle parole: la lingua italiana è viva e si evolve

Il potere delle parole: la lingua italiana è viva e si evolve

Le parole hanno un potere. Direi anzi un superpotere, che regola le relazioni umane e definisce l’individuo. Vera Gheno è una sociolinguista, esperta di comunicazione digitale, docente all’Università di Firenze, collaboratrice di lungo corso con l’Accademia della Crusca. Vera è la voce che emerge in mezzo al coro, quella che si riconosce anche senza avere un orecchio esperto. Da leggere assolutamente il suo libro “Potere alle parole”, un viaggio nella società della comunicazione e nella storia della lingua italiana che, ci tranquillizza l’autrice, è viva e gode di buona salute.

E se è viva, lo dobbiamo ai suoi parlanti, nessuno escluso. Perché la lingua non è una questione riservata agli accademici. Chiariamo il concetto. Ognuno di noi ha il suo ruolo nella salvaguardia e nell’evoluzione della lingua italiana. La capacità linguistica è come un muscolo e va allenata. La lingua, con i suoi codici e convenzioni, va presa per mano e alimentata, sempre, rispettandola ma adattandola ai tempi e ai bisogni attuali.

Padroneggiare gli strumenti linguistici ci consente di scegliere le parole giuste in ogni situazione. La vera libertà di una persona, dice Gheno, passa dalla conquista delle parole. Più le padroneggiamo, più la nostra partecipazione alla società della comunicazione sarà completa e soddisfacente.

Citazione dal libro Potere alle parole di Vera Gheno: la libertà di una persona passa dalla conquista delle parle.

 

Vi siete mai chiesti perché parliamo? Gheno spiega che il linguaggio ha basi biologiche e i nostri antenati hanno sviluppato un codice per trasmettere le informazioni. La lingua serve per definire sé stessi, descrivere il mondo, comunicare con gli altri. Se vi chiedono che cos’è una lingua, potete rispondere che è un codice condiviso da una comunità di parlanti che dà origine a testi, sia scritti sia parlati.

Dentro di noi abbiamo una parte innata del linguaggio. Gli stimoli esterni e la convivenza fanno il resto. Noi italiani siamo fortunati perché nasciamo e cresciamo con la predisposizione al bilinguismo, grazie ai dialetti. Nell’epoca attuale, il cittadino italiano perfetto, fa notare Vera Gheno, dovrebbe puntare a essere almeno trilingue: padroneggiare l’italiano, conservare il proprio dialetto e conoscere una lingua straniera.

E allora, vi starete chiedendo, il linguista cosa fa? Il linguista studia la lingua, va oltre le nozioni imparate a scuola, approfondisce, cerca risposte, scrive le grammatiche e i dizionari. Sono molti i tipi di linguisti, dai grammatici, ai lessicografi, ai glottologi, filologi, psicolinguisti, sociolinguisti e così via. Quello che dobbiamo aver chiaro è che la lingua è fatta dai suoi parlanti, non dagli studiosi.

Tutte le parole che sono usate da un numero ampio di persone per un periodo lungo, possono diventare una norma linguistica. Tutti abbiamo bisogno di regole per imparare a usare la nostra lingua, senza però ignorare che ogni norma può essere modificata nel tempo.

La lingua evolve costantemente e non solo l’italiano. I linguisti sono i supervisori che osservano il cambiamento, l’eventuale errore che rompe la norma e valutano se è giusto accogliere quella mutazione o difendere la regola.

Molti credono che a dettare le regole linguistiche sia l’Accademia della Crusca. Sbagliato, perché il ruolo della Crusca è quello di osservare, studiare, registrare, consigliare senza mai imporre. Gli strumenti per acquisire la norma li impariamo a scuola, che è anche il luogo in cui acquisiamo la consapevolezza che gli errori di comunicazione ci fanno fare un pessima figura. Vera usa la metafora dell’alitosi. Pensate di avere davanti a voi un interlocutore che vi sta facendo i complimenti più belli e sinceri mai ricevuti, ma mentre li decanta dalla sua bocca escono ventate di fogna. L’alito brutale affossa il contenuto e voi vorreste solo sprofondare, innalzare un muro, fuggire a gambe levate.

Vera non è affatto a favore dei grammarnazi. E non lo sono nemmeno io. Nessuno ha diritto di versare sterco su chi, per motivi diversi, non ha il controllo perfetto della lingua italiana. La rigidità non è adatta alla norma linguistica, né ai linguisti, né dovrebbe turbare la vita degli intellettualoni. Che poi spesso i grammarnazi sono quelli che ne sanno quanto un fagiolo e il loro unico talento è bastonare e umiliare gli altri.

grammarnazi vestito da soldato ma bannato perché nessuno può umiliare chi non conosce bene la lingua

 

Vera Gheno nel libro spiega, con dovizia di particolari, alcune delle discussioni linguistiche relative ad esempio al piuttosto che, a me mi, gli accenti acuti, gli anglismi, i neologismi.  Bisogna trovare un equilibrio tra norma e uso della lingua, ricordandosi che non esistono parole brutte, ma parole codificate dalla comunità dei parlanti. Ognuno di noi è la causa dei cambiamenti linguisitici, che sono normali e tengono in vita una lingua. E sta a noi scegliere come usare l’italiano.

Un capitolo di Potere alle parole è dedicato al grande mistero dell’italiano e ne ripercorre la storia. Dal passaggio dal latino al volgare nei Placiti Cassinesi, risalenti al 960 d.C. circa. Dalla Divina Commedia alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo del Cinquecento, che è considerata la prima grammatica dell’italiano. E ancora la nascita dell’Accademia della Crusca nel 1583, l’Unità d’Italia nel 1861, la rivoluzione della televisione e del neostandard, che non corrisponde più alla norma imparata a scuola e semplifica il sistema verbale.

Qualche esempio? L’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo (penso che è una buona idea), l’accantonamento di congiunzioni quali affinché, acciocché, poiché sostituite dal perché, il riflessivo apparente (mi bevo un caffè). Per i linguisti questo è un segno della vitalità della lingua, mentre per i grammarnazi è veleno nel bicchiere. Sicuramente la via da percorrere è l’equilibrio tra novità, semplificazioni, effettiva necessità e norma linguistica. O si rischia che passi il messaggio sbagliato, che tutti possiamo parlare e scrivere come ci pare. No categorico.

La comunicazione moderna ci vede impegnati in chat, post, email, pagine social. La consideriamo una comunicazione veloce e non impegnativa, mentre in realtà è una forma linguistica che non svanisce e dura nel tempo. Riflettiamo sempre prima di cliccare su invio, per rispetto della lingua italiana e dei lettori. Manteniamo costante una “tensione linguistica”. Come suggerisce Vera, senza sbracare troppo.

Le parole giuste si scelgono in base al contesto e alla situazione. Ovvio che più parole conosciamo, migliori saranno le nostre scelte. E le parole non sono tutte uguali. Alcune sono più conosciute, altre meno. Ci sono dizionari, come il Gradit, che riportano una sigla di due lettere accanto a ogni lemma. Sono le marche d’uso: FO (lessico fondamentale) le parole di uso quotidiano (casa, bambino, ciao, penna, mela e così via) ; AU (alto uso) parole che conosciamo bene ma che usiamo in casi specifici (esempi: impianto, possesso); CO (comuni) quelle che una persona di cultura medio-alta conosce indipendentemente dal proprio mestiere (esempi: aureo, imbottigliamento).

E ancora RE (regionalismi) ad esempio bacherozzo, dell’area meridionale, per scarafaggio; DI (dialettismi) come sciura in lombardo, anvedi in romanesco. ES (esoterismi), come sabot, kamikaze, paprika; TS (tecnico-specialistici) come demansionare, LE (termini letterari) come abbarbaglio usato da Dante; BU (basso uso) come svegliatore, OB (obsolete) ad esempio stravizzo per bagordo.

elenco delle marche d'uso che vengono messe ad inizio di ogni lemma in alcuni dizionari

Teniamo bene a mente però che non tutte le parole che usiamo le ritroviamo nei dizionari. Il vocabolario inserisce le parole che hanno un’ampia diffusione. E i neologismi che valore hanno? Servono quando occorre sopperire a una mancanza lessicale. Sappiamo però che si creano neologismi anche per necessità letterarie e creative, come nella pubblicità.

Le combinazioni da cui derivano lemmi nuovi sono principalmente due: endogene, ossia interne alla lingua, con l’estensione del significato, l’aggiunta di un suffisso o prefisso (esempio: ciaone, telefonino, dronista, addivanarsi, apericena). Ci sono poi neologismi che derivano da prestiti linguistici e sono quindi esogeni, come pallacanestro da basketball, grattacielo da skyscraper.

I neologismi sono linfa vitale per la lingua, sono naturali e non devono subire il grave torto del pregiudizio. Lo stesso vale per i femminili professionali, argomento scottante. Il problema in questo caso non è solo linguistico ma anche sociale e politico. Chi tifa per usare il presidente anche per le donne, chi la presidente. La questione ha la sua rilevanza e Vera Gheno ci invita a non minimizzarla, anche se è solo un tassello di un problema molto più grande, che riguarda la concezione della donna nella società e nel mondo del lavoro.

femminile professionale diverse correnti di pensiero. Ad esempio si dice il presidente o la presidente

Quello di Potere alle parole è un viaggio importante che fa luce su aspetti fondamentali. Sforziamoci di imparare la norma linguistica, coltiviamo la lettura, alleniamo la scrittura, manteniamo una tensione linguistica in ogni ambito, usiamo al meglio le nostre competenze linguistiche, rispettiamo gli interlocutori e i lettori.

Contribuiamo tutti al benessere e alla longevità della nostra amata, e più viva che mai, lingua italiana. E ricordiamoci che se non abbiamo niente da dire, il silenzio è la scelta migliore.

E tu ti senti un grammarnazi? Che rapporto hai con la lingua italiana? Scrivilo nei commenti.

Titolo: Potere alle parole

Autore: Vera Gheno

Casa editrice: Einaudi

Luogo e anno: Torino, 2019

Pagine: 160

Fare blogging, sì ma come?

fare blogging sì ma come

Pianificare, gestire, scrivere. Queste sono le tre sfere d’azione che Riccardo Esposito spiega nel suo Fare Blogging, un libro che non può mancare tra le letture di chi scrive per un blog. All’interno troviamo i contributi di professionisti del settore, che voglio citare perché scrivere è fatica e il tempo necessario per farlo è prezioso: Valentina Lepore, Cinzia Di Martino, Michaela Matichecchia, Alessandro Scuratti, Nico Caradonna, Fabio Piccigallo, Ciro Bocchetti, Ludovica De Luca, Benedetto Motisi, Laura Lonighi, Francesco Margherita, Beatrice Niciarelli.

Riccardo ci invita a partire dalle basi. Sono importanti perché nessuno ce le regala. Hanno bisogno di tempo, amore, passione e impegno costante. Per costruire le basi bisogna studiare e accumulare tanta esperienza. Scrivere una tantum è inutile. La scrittura è un esercizio da fare ogni giorno.

Si fa blogging quando si esprime il proprio punto di vista personale e lo si condivide. Fin da subito però bisogna avere chiaro a chi ci rivolgiamo quando scriviamo e quale bisogno di chi legge andiamo a soddisfare. Tanto per intendersi, fare blogging non è scrivere quello che ci passa per la testa, i nostri problemi, le nostre giornate. Quello non è un blog, è un diario personale.

Due elementi importanti del blog sono l’evoluzione dei contenuti e l‘interazione tra autore e lettore. Non basta scrivere contenuti sul blog però. Serve l’impegno anche sui social, nella newsletter, bisogna sforzarsi di intessere relazioni online e offline, organizzare webinar, regalare lead magnet.

Per ottimizzare le pubblicazioni è fondamentale il piano editoriale, strumento con cui stabiliamo gli obiettivi, il target, la piattaforma, i contenuti, i tempi, le interazioni e le fonti. Prima di creare un piano editoriale dobbiamo conoscere nei dettagli il brand di cui parleremo. Di un cliente o di noi stessi, chiediamoci quali sono i valori e perché i lettori dovrebbero scegliere il blog su cui scriviamo. E ancora chiediamoci cosa possiamo fare per gli altri e come possiamo distinguerci dalla concorrenza.

Tra gli obiettivi vanno individuati quelli a lungo e breve termine. Cosa vogliamo ottenere? Quante risorse possiamo coinvolgere? Questi sono obiettivi a lungo termine. Scendere nel dettaglio, stabilendo quali milestone si vogliono raggiungere, per esempio con cadenza quadrimestrale, aiuta l’operatività. Micro obiettivi per macro obiettivi.

Roadmap con obiettivi a lungo e breve termine, per stabilire cosa voglio ottenere con il blog

Altro aspetto fondamentale per fare blogging è stabilire il target a cui ci riferiamo, perché non dobbiamo cercare di piacere a tutti. Partire dall’analisi dei competitor, iscriversi a Feedly per seguire i blog migliori, analizzare le keyword, studiare il pubblico, capire cosa cerca sul web, quali dubbi ha, di cosa ha bisogno. Spunti molto utili si trovano nei commenti dei lettori sotto gli articoli, sui Social, nei forum.

Comprese le necessità del nostro pubblico, dobbiamo creare la nostra reader personas, dandole anche un volto, stabilendo quanti anni ha, che professione svolge, quali obiettivi professionali ha e cosa cerca in un blog.

Esposito sceglie i contenuti usando le mappe mentali, che permettono di organizzare i concetti e ricordare le idee che passano per la mente. I contenuti che si possono inserire in un blog sono:

  • cornerstone content, articoli lunghi e approfonditi
  • Pillar article, ossia il pilastro, quello che attira un pubblico esperto
  • Articoli specifici, che possono essere interviste, casi studio, liste di risorse, approfondimenti

Non dimentichiamo mai l’importanza del tono di voce che deve rappresentare i nostri valori e il modo in cui comunichiamo nelle diverse situazioni. Ora che abbiamo deciso contenuti e tono, dobbiamo creare un calendario editoriale per definire i tempi di pubblicazione. Il calendario lo possiamo realizzare su un foglio di calcolo o un modello già fatto che andremo a personalizzare.

Una parte che spesso viene trascurata e che invece ha un ruolo chiave è quella delle fonti. Le fonti, suggerisce Esposito, devono rientrare nel piano editoriale perché aiutano a stutturare i contenuti e a mettere in ordine le tante notizie di cui disponiamo. Evernote in questo è una mano santa. Molto utile Google Alert, che invia tramite email le ultime pagine web che contengono determinate parole chiave. Anche Mention è un tool che fornisce le menzioni su pagine e social con le parole chiave di nostro interesse.

Ma come si scrive un articolo di blog? Pensando al lettore prima di tutto, facendo in modo che la sua lettura sia agile. Il contenuto deve essere unico, di qualità, personale, utile. Sulla lunghezza non esiste una regola. Esposito ricorda che tutto dipende dal messaggio che vogliamo lasciare e dal target che vogliamo raggiungere.

I post possono essere:

  • tutorial, i famigerati how to che spiegano come fare qualcosa e quindi forniscono risposte ai lettori che le stanno cercando. Per realizzarli nel migliore dei modi dobbiamo usare oltre al testo le immagini, i video, i podcast, embedded dei social, quote, infografiche, presentazioni, grafici, tabelle.
  • Notizia, con cui aggiorniamo il pubblico
  • Caso studio, articolo lungo e approfondito con tante informazioni su un argomento specifico
  • Lista di risorse, l’elenco di elementi dedicati a un tema specifico: lista di blog dedicati a un argomento, strumenti per risolvere un problema.
  • Opinione per diffondere il proprio punto di vista
  • Ispirazione, forma assai complessa, perché essere d’ispirazione riesce veramente a pochi
  • Interventi esterni come le interviste a qualcuno che può essere utile e interessante per il proprio pubblico. Oppure il guest post, ovvero un articolo scritto da una persona che vuole farsi pubblicità

Un contenuto per essere letto deve attirare ed essere capace di trattenere il lettore. Il titolo deve presentare in maniera chiara l’argomento. L’attacco di un post deve essere magnetico. Uno dei modelli più efficaci da seguire è quello della piramide rovesciata, che fornisce subito le informazioni più importanti, prosegue sviluppando il contenuto e termina con notizie aggiuntive, approfondimenti, link.

Prediligiamo sempre periodi brevi, alternandoli in maniera ritmica, facendo attenzione all’uso corretto della punteggiatura. Scriviamo articoli con personalità, che lascino trasparire i nostri valori, che ci rendano subito riconoscibili. Mettiamoci tanto del nostro. Mettiamoci la faccia. Per rompere il ghiaccio si può sempre porre una domanda, che aiuta ad entrare dritti nell’argomento e attira l’attenzione.

Citazione di David Ogily: Usa parole brevi, frasi brevi, paragrafi brevi

Avere cura di un testo significa favorire anche la sua leggibilità. Per una lettura piacevole abbattiamo i muri di parole, dividiamo in capoversi e paragrafi. Usiamo, quando possibile, gli h2. Inserire immagini, grafici, infografiche, elenchi puntati, aiuta a rompere la monotonia e a mantenere alto l’interesse.

Per fare blogging non esiste una formula magica. Esistono però delle norme dettate dal buonsenso e dall’esperienza di chi è del mestiere da tempo. Regole che mettono al primo posto l’interesse del lettore. E non dimentichiamo che un blog ha senso di esistere se qualcuno lo legge.

Titolo: Fare blogging

Autore: Riccardo Esposito

Casa editrice: Dario Flaccovio Editore

Luogo e anno: 2014

Pagine: 207

Se hai un blog o scrivi per il blog di qualcuno, mi piacerebbe sapere come ti muovi, come organizzi il tuo lavoro. Lascia un commento qui sotto.