Il potere delle parole: la lingua italiana è viva e si evolve

Il potere delle parole: la lingua italiana è viva e si evolve

Le parole hanno un potere. Direi anzi un superpotere, che regola le relazioni umane e definisce l’individuo. Vera Gheno è una sociolinguista, esperta di comunicazione digitale, docente all’Università di Firenze, collaboratrice di lungo corso con l’Accademia della Crusca. Vera è la voce che emerge in mezzo al coro, quella che si riconosce anche senza avere un orecchio esperto. Da leggere assolutamente il suo libro “Potere alle parole”, un viaggio nella società della comunicazione e nella storia della lingua italiana che, ci tranquillizza l’autrice, è viva e gode di buona salute.

E se è viva, lo dobbiamo ai suoi parlanti, nessuno escluso. Perché la lingua non è una questione riservata agli accademici. Chiariamo il concetto. Ognuno di noi ha il suo ruolo nella salvaguardia e nell’evoluzione della lingua italiana. La capacità linguistica è come un muscolo e va allenata. La lingua, con i suoi codici e convenzioni, va presa per mano e alimentata, sempre, rispettandola ma adattandola ai tempi e ai bisogni attuali.

Padroneggiare gli strumenti linguistici ci consente di scegliere le parole giuste in ogni situazione. La vera libertà di una persona, dice Gheno, passa dalla conquista delle parole. Più le padroneggiamo, più la nostra partecipazione alla società della comunicazione sarà completa e soddisfacente.

Citazione dal libro Potere alle parole di Vera Gheno: la libertà di una persona passa dalla conquista delle parle.

 

Vi siete mai chiesti perché parliamo? Gheno spiega che il linguaggio ha basi biologiche e i nostri antenati hanno sviluppato un codice per trasmettere le informazioni. La lingua serve per definire sé stessi, descrivere il mondo, comunicare con gli altri. Se vi chiedono che cos’è una lingua, potete rispondere che è un codice condiviso da una comunità di parlanti che dà origine a testi, sia scritti sia parlati.

Dentro di noi abbiamo una parte innata del linguaggio. Gli stimoli esterni e la convivenza fanno il resto. Noi italiani siamo fortunati perché nasciamo e cresciamo con la predisposizione al bilinguismo, grazie ai dialetti. Nell’epoca attuale, il cittadino italiano perfetto, fa notare Vera Gheno, dovrebbe puntare a essere almeno trilingue: padroneggiare l’italiano, conservare il proprio dialetto e conoscere una lingua straniera.

E allora, vi starete chiedendo, il linguista cosa fa? Il linguista studia la lingua, va oltre le nozioni imparate a scuola, approfondisce, cerca risposte, scrive le grammatiche e i dizionari. Sono molti i tipi di linguisti, dai grammatici, ai lessicografi, ai glottologi, filologi, psicolinguisti, sociolinguisti e così via. Quello che dobbiamo aver chiaro è che la lingua è fatta dai suoi parlanti, non dagli studiosi.

Tutte le parole che sono usate da un numero ampio di persone per un periodo lungo, possono diventare una norma linguistica. Tutti abbiamo bisogno di regole per imparare a usare la nostra lingua, senza però ignorare che ogni norma può essere modificata nel tempo.

La lingua evolve costantemente e non solo l’italiano. I linguisti sono i supervisori che osservano il cambiamento, l’eventuale errore che rompe la norma e valutano se è giusto accogliere quella mutazione o difendere la regola.

Molti credono che a dettare le regole linguistiche sia l’Accademia della Crusca. Sbagliato, perché il ruolo della Crusca è quello di osservare, studiare, registrare, consigliare senza mai imporre. Gli strumenti per acquisire la norma li impariamo a scuola, che è anche il luogo in cui acquisiamo la consapevolezza che gli errori di comunicazione ci fanno fare un pessima figura. Vera usa la metafora dell’alitosi. Pensate di avere davanti a voi un interlocutore che vi sta facendo i complimenti più belli e sinceri mai ricevuti, ma mentre li decanta dalla sua bocca escono ventate di fogna. L’alito brutale affossa il contenuto e voi vorreste solo sprofondare, innalzare un muro, fuggire a gambe levate.

Vera non è affatto a favore dei grammarnazi. E non lo sono nemmeno io. Nessuno ha diritto di versare sterco su chi, per motivi diversi, non ha il controllo perfetto della lingua italiana. La rigidità non è adatta alla norma linguistica, né ai linguisti, né dovrebbe turbare la vita degli intellettualoni. Che poi spesso i grammarnazi sono quelli che ne sanno quanto un fagiolo e il loro unico talento è bastonare e umiliare gli altri.

grammarnazi vestito da soldato ma bannato perché nessuno può umiliare chi non conosce bene la lingua

 

Vera Gheno nel libro spiega, con dovizia di particolari, alcune delle discussioni linguistiche relative ad esempio al piuttosto che, a me mi, gli accenti acuti, gli anglismi, i neologismi.  Bisogna trovare un equilibrio tra norma e uso della lingua, ricordandosi che non esistono parole brutte, ma parole codificate dalla comunità dei parlanti. Ognuno di noi è la causa dei cambiamenti linguisitici, che sono normali e tengono in vita una lingua. E sta a noi scegliere come usare l’italiano.

Un capitolo di Potere alle parole è dedicato al grande mistero dell’italiano e ne ripercorre la storia. Dal passaggio dal latino al volgare nei Placiti Cassinesi, risalenti al 960 d.C. circa. Dalla Divina Commedia alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo del Cinquecento, che è considerata la prima grammatica dell’italiano. E ancora la nascita dell’Accademia della Crusca nel 1583, l’Unità d’Italia nel 1861, la rivoluzione della televisione e del neostandard, che non corrisponde più alla norma imparata a scuola e semplifica il sistema verbale.

Qualche esempio? L’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo (penso che è una buona idea), l’accantonamento di congiunzioni quali affinché, acciocché, poiché sostituite dal perché, il riflessivo apparente (mi bevo un caffè). Per i linguisti questo è un segno della vitalità della lingua, mentre per i grammarnazi è veleno nel bicchiere. Sicuramente la via da percorrere è l’equilibrio tra novità, semplificazioni, effettiva necessità e norma linguistica. O si rischia che passi il messaggio sbagliato, che tutti possiamo parlare e scrivere come ci pare. No categorico.

La comunicazione moderna ci vede impegnati in chat, post, email, pagine social. La consideriamo una comunicazione veloce e non impegnativa, mentre in realtà è una forma linguistica che non svanisce e dura nel tempo. Riflettiamo sempre prima di cliccare su invio, per rispetto della lingua italiana e dei lettori. Manteniamo costante una “tensione linguistica”. Come suggerisce Vera, senza sbracare troppo.

Le parole giuste si scelgono in base al contesto e alla situazione. Ovvio che più parole conosciamo, migliori saranno le nostre scelte. E le parole non sono tutte uguali. Alcune sono più conosciute, altre meno. Ci sono dizionari, come il Gradit, che riportano una sigla di due lettere accanto a ogni lemma. Sono le marche d’uso: FO (lessico fondamentale) le parole di uso quotidiano (casa, bambino, ciao, penna, mela e così via) ; AU (alto uso) parole che conosciamo bene ma che usiamo in casi specifici (esempi: impianto, possesso); CO (comuni) quelle che una persona di cultura medio-alta conosce indipendentemente dal proprio mestiere (esempi: aureo, imbottigliamento).

E ancora RE (regionalismi) ad esempio bacherozzo, dell’area meridionale, per scarafaggio; DI (dialettismi) come sciura in lombardo, anvedi in romanesco. ES (esoterismi), come sabot, kamikaze, paprika; TS (tecnico-specialistici) come demansionare, LE (termini letterari) come abbarbaglio usato da Dante; BU (basso uso) come svegliatore, OB (obsolete) ad esempio stravizzo per bagordo.

elenco delle marche d'uso che vengono messe ad inizio di ogni lemma in alcuni dizionari

Teniamo bene a mente però che non tutte le parole che usiamo le ritroviamo nei dizionari. Il vocabolario inserisce le parole che hanno un’ampia diffusione. E i neologismi che valore hanno? Servono quando occorre sopperire a una mancanza lessicale. Sappiamo però che si creano neologismi anche per necessità letterarie e creative, come nella pubblicità.

Le combinazioni da cui derivano lemmi nuovi sono principalmente due: endogene, ossia interne alla lingua, con l’estensione del significato, l’aggiunta di un suffisso o prefisso (esempio: ciaone, telefonino, dronista, addivanarsi, apericena). Ci sono poi neologismi che derivano da prestiti linguistici e sono quindi esogeni, come pallacanestro da basketball, grattacielo da skyscraper.

I neologismi sono linfa vitale per la lingua, sono naturali e non devono subire il grave torto del pregiudizio. Lo stesso vale per i femminili professionali, argomento scottante. Il problema in questo caso non è solo linguistico ma anche sociale e politico. Chi tifa per usare il presidente anche per le donne, chi la presidente. La questione ha la sua rilevanza e Vera Gheno ci invita a non minimizzarla, anche se è solo un tassello di un problema molto più grande, che riguarda la concezione della donna nella società e nel mondo del lavoro.

femminile professionale diverse correnti di pensiero. Ad esempio si dice il presidente o la presidente

Quello di Potere alle parole è un viaggio importante che fa luce su aspetti fondamentali. Sforziamoci di imparare la norma linguistica, coltiviamo la lettura, alleniamo la scrittura, manteniamo una tensione linguistica in ogni ambito, usiamo al meglio le nostre competenze linguistiche, rispettiamo gli interlocutori e i lettori.

Contribuiamo tutti al benessere e alla longevità della nostra amata, e più viva che mai, lingua italiana. E ricordiamoci che se non abbiamo niente da dire, il silenzio è la scelta migliore.

E tu ti senti un grammarnazi? Che rapporto hai con la lingua italiana? Scrivilo nei commenti.

Titolo: Potere alle parole

Autore: Vera Gheno

Casa editrice: Einaudi

Luogo e anno: Torino, 2019

Pagine: 160

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